La recente lettura del nuovo libro di Ian McEwan mi ha spinto ad una rinnovata, e a tratti inedita, lettura di un altro romanzo dello stesso autore: Bambini nel tempo.
Lo lessi in un'estate calda di quasi trent'anni fa, nel microscopico
appartamento che mi vide di nuovo single dopo una separazione
dolorosissima.
Il libro comincia con la discesa di un
padre all'inferno. Il protagonista è un autore di libri per ragazzi e si
sveglia, un sabato mattina d’inverno, nella sua casa in un quartiere a
sud di Londra. Va al supermercato dall'altra parte della strada e porta
con sé la bambina di tre anni. E' un giorno come gli altri e la città è
come sempre rabbuiata dalla nebbia in quelle ore prima che il giorno si
riveli, prima che un sabato mattina diventi quel sabato mattina.
L’uomo sta facendo la spesa. Le mani
corrono agli scaffali mentre parla con la bambina, che resta con lui per
tutto il tempo fino alla comparsa delle poche persone in coda alla
cassa. Quello è il Momento. Non ce ne sarà un altro uguale in tutta la
vita del protagonista e forse è lo stesso per le molte migliaia di
lettori di questo libro, me compreso. Tutto quello che l’uomo fa è
girarsi e prendere qualcosa, per poi tornare indietro per continuare a
parlare con la figlia. Ma la bambina è scomparsa.
Avevo ventisette anni. Dopo gli anni
milanesi, ero da poco tornato al Sud per la mia prima libreria, con un
figlio che vedevo poco per via della disastrosa fine del mio primo
matrimonio. Quella scena - il panico e la pura casualità del terrore più
autentico - mi ha catturato per non lasciarmi mai più.
Non potevo più guardare i bambini che
giocavano negli spazi pubblici senza cercare l'adulto "accompagnatore".
Misuravo involontariamente la distanza tra loro, quel collegamento
invisibile che poteva essere spezzato in qualsiasi momento. Per anni non
ho ricordato altro del libro se non quel miasma, quell'esalazione
insopportabile di dolore misto a follia, e la paura che potesse
accadermi una cosa simile. Un punteruolo fissato nel cervello, un
pensiero orribile che mi ha rincorso per mesi.
Ci sono stati altri scrittori inglesi come il Thomas Hardy di Juda l'oscuro o T.S. Eliot di Terra desolata,
o anche Coleridge, con la bellezza mozzafiato dei suoi taccuini, che
hanno lasciato in me segni profondi. Queste letture, con il loro carico
d’immanente tradimento del destino, mi hanno cambiato come lettore e
hanno segnato ogni volta il corso immediatamente successivo della mia
vita. Bambini nel tempo è arrivato da qualche altra parte,
credo. Ha reso immaginabile qualcosa che non avevo immaginato prima e
che da allora non ho più potuto non pensare: in un momento qualsiasi e
senza una ragione accettabile, tutto può cambiare completamente e
segnare un solco profondo tra il prima e il dopo delle nostre vite. Come
nel libro, dopotutto.
Ho sempre associato il titolo Bambini nel tempo alla scomparsa di un bambino. Da allora, ogni volta che i media hanno lanciato una notizia simile, io ho pensato a Bambini nel tempo.
Bambini nel tempo è uno studio a diversi livelli sulle prescrizioni educative dettate nel corso degli anni.
In realtà, Bambini nel tempo è
anche uno studio a diversi livelli - quanti Ian McEwan può metterne
insieme - su come le prescrizioni riguardo l'educazione dei figli
cambino nel tempo.
E’ uno studio su com’è cambiato il modo
con cui ci rivolgiamo ai nostri figli e su quanto influisce la politica
educativa prevalente in un dato periodo. Per fare un esempio tratto dal
libro, il protagonista passa ore a fantasticare su una commissione
convocata dal governo per produrre un manuale sulla lettura e sullo
sviluppo infantile.
E ancora, Bambini nel tempo è
un discorso su come l'esperienza del tempo in un bambino sembri essere
un eterno presente alla scoperta del mondo e sul modo in cui gli adulti
cercano di recuperare quello stato. E’ anche uno studio su come trovare
un tempo nuovo da dedicare ai bambini, trasformando il momento del gioco
in una nuova infanzia e allo stesso tempo forzare una nuova valutazione
dei sistemi di valore intorno alla genitorialità.
Per dirla con gli occhi di oggi - a
distanza di venticinque anni circa da quella prima lettura - il romanzo
mi ha fatto riflettere su come l'arretramento del nostro paese e l'aver
venduto alla crisi le nostre vite abbia fatto saltare la gestione del
tempo da dedicare ai figli, e con questo abbia favorito un delegare alla
scuola non solo l'istruzione, ma anche l’educazione; un’educazione che
trova quindi spazio solo poco prima di piazzare i bambini davanti alla
televisione. Un’altra delle molte miserie – e orrori – del nostro tempo.
Non è stata una sorpresa allora, ed è
una conferma oggi, che data la serietà dell'autore e il rigore con cui
si scompongono tutte queste varie questioni, questo libro sia stato
pubblicato quando il primogenito di McEwan aveva solo due o tre anni. A
modo suo, anche McEwan stava lavorando al mestiere di genitore e lo
faceva forse anche attraverso la sua fiction.
A proposito del tempo. Ci sono esempi
della perdita del sentimento del tempo da parte del protagonista, e di
come il tempo sembri rallentare o accelerare a seconda di ciò che sta
accadendo. C'è quella scena del taxi: quei vetri appannati sul sedile
posteriore, anni dopo quel sabato mattina, e il protagonista
che attraverso di essi scorge la ragazzina muoversi stretta nel cappotto
e salire le scale della scuola sotto l'ombrello. Il tuffo al cuore e le
lacrime amare che generano quelle pagine... un momento davvero
infernale, ma anche la fine di un buco nero da cui si può e si deve
risalire.
C'è saggezza in abbondanza e ci sono
anche molte indicazioni. McEwan è particolarmente affascinato dai
momenti in cui questi istinti comprensibili s’incurvano in qualcosa di
più paralizzante e inquietante. Si sofferma per esempio sul modo in cui
un adulto può attaccarsi ad altri adulti che incarnano quella sicurezza e
quella libertà dalla responsabilità che un tempo i suoi stessi genitori
mostravano, per poi sentirsi traditi quando si rivelavano fallibili e
loro stessi bambini persi nel tempo.
Questo è un romanzo sull'infanzia, ma
anche sulla crescita e sull'assunzione di responsabilità. È uno studio
della famiglia, delle inaspettate modalità dell'amore e di come questo
sentimento si compia e si arricci nel tempo, e di come il tempo stesso
si compia e si arricci. Molto di questo, sinceramente, lo avevo
dimenticato dopo la lettura di un quarto di secolo fa. Ma quel momento -
lo shock di quel momento - quello no: quello è sempre rimasto con me.
L'ho rivissuto un sabato pomeriggio di qualche anno fa negli occhi di un
padre: l’uomo aveva perso di vista la sua bambina, che era uscita da
sola dalla libreria per essere inghiottita dalla folla di un centro
commerciale. Quel terrore nel suo sguardo vuoto durò un’ora, poi la
bambina fu ritrovata.
Finisco. Ho un debito di riconoscenza
verso questo libro enorme. Per i lettori di domani non ho volutamente
raccontato molto della storia, per costringerli a comprarlo.
Per BookAvenue e Book Avenue KIDS,Michele Genchi con Ian McEwan |