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Maria Montessori e il libro sulla magia della lingua

mercoledì 26 luglio 2017

Maria Montessori con un bambino di un orfanotrofio di Roma nel 1952 (Getty Images) 
Da quest'anno in libreria la "Psicogrammatica" della pedagogista, che insegna a “estrarre” dalla mente dei bambini le nozioni sulla struttura della lingua. Ecco perché era rimasto inedito. 
Ecco perché merita di essere conosciuto.

In libreria la "Psicogrammatica" della pedagogista, che insegna a “estrarre” dalla mente dei bambini le nozioni sulla struttura della lingua. Ecco perché era rimasto inedito. E merita di essere conosciuto.
La grammatica è quell’insieme di regole che rende stabile la lingua parlata. Una definizione esauriente, che però non dice tutto: la grammatica è anche una “stregoneria” (l’intuizione è di Charles Baudelaire). Per poco che ci si immerga nelle sue profondità ecco che «le parole resuscitano, rivestite di carne e ossa»: il sostantivo, con la «sua maestà sostanziale», l’aggettivo, «abito trasparente che lo veste e lo colora come una vernice, e il verbo, angelo del movimento che dà l’impulso alla frase». Forse la grande pedagogista Maria Montessori conosceva questo passo di Baudelaire. Di sicuro, basta osservare il modo in cui i bambini di quattro anni, guidati dal suo metodo, imparano a leggere e scrivere, per avere la sensazione che le regole del discorso nascondano davvero una magia, e che i più piccoli (e i poeti) siano gli unici in grado di apprezzarla davvero.
A Maria Montessori si deve la creazione di una nuova disciplina: la psicogrammatica. Insieme alle sue sorelle, la psicoaritmetica e la psicogeometria, costituisce la triade della psicodidattica montessoriana; non tre materie, ma tre filosofie pedagogiche elaborate a misura di bambino, ovvero della sua psiche. Il loro scopo non è comunicare un sapere, ma soddisfare un bisogno reale dell’infanzia: saperne di più, sempre di più, ancora di più, sul linguaggio, i numeri e le forme. Così, se la grammatica viene “data” al bambino sotto forma di nozioni, la psicogrammatica viene estratta dalla sua mente, che già ne possiede le basi, sotto forma di giochi ed esperimenti. La soddisfazione della scoperta poi farà il resto.
Maria Montessori fissò le basi della psicodidattica intorno agli anni Venti del Novecento: Psicoaritmetica e Psicogeometria vennero pubblicati in Spagna nel 1934; Psicogrammatica invece è sempre rimasto inedito, perché le vicissitudini private dell’autrice e gli avvenimenti politici dell’epoca (ora la guerra civile in Spagna, dove visse fino al ‘36, ora la Seconda guerra mondiale, che la bloccò in India per cinque anni) ne impedirono la revisione definitiva. L’editore Franco Angeli ne propone oggi la prima edizione in assoluto, a cura di Clara Tornar, direttrice del Centro Studi Montessoriani dell’Università di Roma Tre, e Grazia Honegger Fresco, allieva diretta di Maria Montessori, che hanno lavorato sul dattiloscritto originale.
«A quattro anni» spiega Tornar «i bambini possiedono già una grammatica “implicita”, acquisita spontaneamente nel corso dello sviluppo linguistico. Si tratta di renderli consci delle regole che la governano, facendogliele sperimentare con il corpo e con i sensi». Invece che uno scolaro, il bambino di Psicogrammatica è un piccolo apprendista stregone che gioca con gli elementi del discorso come se fossero ingredienti di una pozione. Il suo primo esperimento è isolare i suoni delle lettere che compongono le parole. Ad associarle a un segno penseranno i suoi polpastrelli: i bambini sono invitati a seguire con le dita, secondo il senso della scrittura, il disegno delle singole lettere in carta smerigliata, piacevole al tatto. Poi provano a comporle tra loro usando un alfabeto mobile: così imparano a leggere. Finché un bel giorno, scrive la Montessori, «dato che la mano ha toccato e ritoccato con interesse le lettere smerigliate e ormai quei movimenti sono diventati naturali nelle piccole mani, cominciano a scrivere. Si trovano in mano la scrittura, come si erano trovati in bocca il linguaggio».

Ecco l’intuizione geniale, sottolinea Tornar:
 «Non c’è che l’azione per cogliere le sfumature del linguaggio. Oggi sappiamo che le aree del cervello che elaborano le informazioni sensoriali e i movimenti sono coinvolte anche nell’apprendimento linguistico. In sostanza c’è una stretta relazione tra motricità e processi astratti, che la Montessori ha colto con la semplice osservazione, molti anni prima dell’avvento della risonanza magnetica cerebrale. Allo stesso modo ha capito che c’è un’età ideale per imparare la grammatica. Tra i tre e i quattro anni il bambino è profondamente attratto dalla scrittura, anche se non sa cosa sia. La Montessori lo chiama il periodo sensitivo del linguaggio (c’è il periodo del movimento, dell’ordine, e così via). In questa fase, e solo in questa, il bambino può imparare a scrivere senza bisogno di alcun insegnamento diretto, attraverso una serie di giochi e attività pensate per lui. Tale è il suo bisogno psicologico di penetrare gli elementi del discorso».

Il nome, l’aggettivo, l’avverbio di Psicogrammatica non sono parti inerti, ma soggetti dotati di intenzioni, di qualità psicologiche e fisiche. Soprattutto, si esprimono attraverso simboli che parlano alla mente del bambino. La “famiglia del nome” per esempio, è rappresentata da tre triangoli: il nome è un grande triangolo nero – la mamma – che da un lato tiene in braccio il bambino-articolo (un triangolino azzurro) e dall’altro tiene per mano la figlia maggiore, l’aggettivo (un vezzoso triangolo blu). È il maestro, prima dell’allievo, a dover interiorizzare questo linguaggio simbolico. E qui emergono due Montessori: quella che ha capito il mondo dei bambini, e quella che sa come trasmetterlo agli insegnanti. Non a caso Grazia Honegger Fresco ricorda di lei «soprattutto la grande semplicità, la chiarezza e l’efficacia nel modo di esprimersi».
«La incontrai a San Remo nel 1949» racconta «era il suo primo congresso dopo la guerra. Eravamo circa duecento, tutte donne. Ci sembrava, allora, che il sistema educativo sarebbe cambiato per sempre. Non è stato così. Per qualche ragione – l’emergere di una società sempre più competitiva? Un paradigma educativo troppo radicato? –  il sistema tradizionale ha prevalso sul modello montessoriano».
“Modello”, puntualizza, è preferibile a “Metodo Montessori”. «Perché» spiega Honegger Fresco «si tratta di un approccio scientifico e filosofico, non di una tecnica brevettata, rigorosa e univoca. L’idea di base è che, favorendo la curiosità innata del bambino, l’apprendimento avverrà senza alcuno sforzo e con il massimo godimento (quindi con il massimo profitto), senza bisogno di voti e imposizioni. Lo conferma l’esperienza secolare delle scuole Montessori, dalla Nuova Zelanda al Giappone. Eppure, l’educazione predominante continua a essere statica, passiva, basata sul giudizio, sulla competizione e sui compiti. Questo approccio non è solo meno efficace, ma anche profondamente immorale, perché invece di insegnare il valore della diversità, l’idea del sapere come conquista personale, forma individui aggressivi, omologati e insicuri. Il giudizio continuo dell’adulto rende dipendente il bambino, che non impara a valutarsi da sé. Anche il bullismo è un risultato di questo modello: chi è più furbo, più bravo, più forte, può avere più potere. Ma l’educazione dovrebbe avere anzitutto una funzione etica, pacifista, come diceva la Montessori».

Così le parole incise sulla sua lapide:
 «Io prego i cari bambini, che possono tutto, di unirsi a me per la costruzione della pace negli uomini e nel mondo».

Fonte: da Giulia Villoresi
La Repubblica, aprile 2017
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