Viviamo in una realtà difficile, i bambini sono spesso spettatori anche inconsapevoli di telegiornali, edizioni speciali, immagini cruente che i media propongono di continuo.
Molte sono le domande che i bambini fanno e che noi stessi ci poniamo.
Dopo ogni atto di terrorismo, per esempio, ci si chiede: “Come spiegare gli attentati ai bambini”.
Spiegare realtà difficili ai bambini è diventato un problema da quando le favole sono state edulcorate. Le favole con la trama e il finale "originale" non vengono più lette perché “sono troppo difficili”. Questo non fornisce ai bambini "la chiave per capire", l'elaborazione simbolica della paura perché i grandi, per primi, hanno paura della loro paura e sono infinitamente più fragili. Il problema non è la cronaca o una soluzione-medicina all'indomani di ogni fatto di cronaca, ma un immaginario indebolito da ri-fortificare.
Molte sono le domande che i bambini fanno e che noi stessi ci poniamo.
Dopo ogni atto di terrorismo, per esempio, ci si chiede: “Come spiegare gli attentati ai bambini”.
Spiegare realtà difficili ai bambini è diventato un problema da quando le favole sono state edulcorate. Le favole con la trama e il finale "originale" non vengono più lette perché “sono troppo difficili”. Questo non fornisce ai bambini "la chiave per capire", l'elaborazione simbolica della paura perché i grandi, per primi, hanno paura della loro paura e sono infinitamente più fragili. Il problema non è la cronaca o una soluzione-medicina all'indomani di ogni fatto di cronaca, ma un immaginario indebolito da ri-fortificare.
Dietro la fragilità dei
bambini c'è quella di un mondo incapace di offrire una sponda al
problema del male: l'infinita fragilità di adulti, voraci consumatori di
falsi miti di massa e di ogni genere di impostura, oggi, in aggiornata
versione fake news, ma, si direbbe, incapaci di sguardo sulla realtà,
come testimoniano continui episodi, ultimo dei quali la vicenda del
bambino morto di otite. La questione non è nuova. L'ambientalista Ed
Ayres spiega che: "...Un modello generale di comportamento tra le società
umane è quello di diventare, via via che s'indeboliscono, più cieche
alla crisi, anziché più attente". E tuttavia, nel tempo, questa
difficoltà a incontrare il reale, evidente in tutti gli ambiti delle
nostre vite e della nostra società, paradossalmente si manifesta in
campo educativo, a scuola, in famiglia, e ovunque vi siano bambini, in
una calcificata resistenza nei confronti della finzione letteraria e del
suo potere catartico, ove la letteratura non si configuri
esclusivamente come attività di intrattenimento, ma diventi pratica di
ricerca di senso.
Sono le fiabe, in particolare, a essere le prime
vittime di questa ostile diffidenza.
Dopo qualche migliaio di anni, la più perfetta fra le finzioni, il più celebre degli incipit: "C'era una volta..." garanzia di distanza, e quindi di elaborazione simbolica, fra realtà del presente e passato della fiaba, non convince più.
Una ipotesi potrebbe essere che essendo gli adulti sempre più incapaci di distinguere fra realtà e finzione, individuino nella finzione letteraria, che obbliga il lettore a sospendere temporaneamente la propria incredulità, un potenziale innesco a traumi e comportamenti devianti, temendo che la fiaba funzioni da miccia a paure incontrollate e dannose alla crescita, come se i bambini apprendessero dell'esistenza della paura dalle fiabe e non la sperimentassero in prima persona nella propria esperienza quotidiana.
Bisogna preparare un posto inerte, come le pagine di un libro. Bisogna usare anche il teatro, la recita come un’apparecchiatura spaziale e temporale che permette di far sorgere la storia, la realtà, le varie figure che la compongono. I bambini possono mettere in moto la storia e capire.
I bambini oggi ascoltano poche favole, le favole non sono più favole della tradizione perché queste sono favole che fanno paura e non possono essere raccontate ai bambini. Si può far vedere il male attraverso la società dello spettacolo ed escludere invece la catarsi della favola che sempre porta il lieto fine.
Sarebbe necessario un ritorno dei bambini a favole che sono l’espressione di un’esperienza che conduce attraverso la vita della favola alla vita possibile futura di un bambino che diventerà adulto.
Dopo qualche migliaio di anni, la più perfetta fra le finzioni, il più celebre degli incipit: "C'era una volta..." garanzia di distanza, e quindi di elaborazione simbolica, fra realtà del presente e passato della fiaba, non convince più.
Una ipotesi potrebbe essere che essendo gli adulti sempre più incapaci di distinguere fra realtà e finzione, individuino nella finzione letteraria, che obbliga il lettore a sospendere temporaneamente la propria incredulità, un potenziale innesco a traumi e comportamenti devianti, temendo che la fiaba funzioni da miccia a paure incontrollate e dannose alla crescita, come se i bambini apprendessero dell'esistenza della paura dalle fiabe e non la sperimentassero in prima persona nella propria esperienza quotidiana.
Bisogna preparare un posto inerte, come le pagine di un libro. Bisogna usare anche il teatro, la recita come un’apparecchiatura spaziale e temporale che permette di far sorgere la storia, la realtà, le varie figure che la compongono. I bambini possono mettere in moto la storia e capire.
I bambini oggi ascoltano poche favole, le favole non sono più favole della tradizione perché queste sono favole che fanno paura e non possono essere raccontate ai bambini. Si può far vedere il male attraverso la società dello spettacolo ed escludere invece la catarsi della favola che sempre porta il lieto fine.
Sarebbe necessario un ritorno dei bambini a favole che sono l’espressione di un’esperienza che conduce attraverso la vita della favola alla vita possibile futura di un bambino che diventerà adulto.
Jeanne-Marie Leprince de Beaumont, La Bella e la Bestia. Illustrazioni di Angela Barrett, Eleanor Vere Boyle, Walter Crane |
Già i Fratelli Grimm, a stare ai loro carteggi, si
lamentavano del problema, osservando che il perbenismo dei lettori li
costringeva a sistematiche ripuliture dei testi orali raccolti durante
il loro lavoro di ricerca. E in effetti le loro Fiabe o Märchen,
come le leggiamo oggi, sono il risultato di ben sei edizioni nelle
quali si procedette a successive riscritture per adeguarle al gusto del
pubblico borghese, disturbato dal perturbante delle narrazioni popolari.
Raccolte importanti a cui si dovrebbe attingere per
letture ai bambini, prima ancora che ad adulti, senza timori e
incertezze, poiché, come spiegano psicologi, antropologi, evoluzionisti,
pediatri, educatori, la razza umana, adulti e bambini, da sempre hanno
bisogno di sperimentare la paura, e la narrazione è uno dei sistemi più
antichi ed efficaci perché questo avvenga, a livello simbolico, senza
incorrere in pericoli reali.
Molto prima dei moderni studi antropologici, peraltro,
nell'antica Grecia, filosofi e pensatori, a proposito di Poesia e
Tragedia, interpretavano lo straordinario potere della finzione
letteraria come catarsi. Ciò che avveniva
durante la lettura di versi o sul palcoscenico induceva il pubblico a
purificarsi, elaborando in profondità dilemmi etici, e vivendo
intensamente come spettatori vicende che a tutt'oggi, nei teatri antichi
di Siracusa, Taormina, Segesta, Epidauro, muovono le nostre
Bisogna tornare a mettere al centro dell'azione scenica i bambini come
ascoltatori di fiabe, spettatori, ma dentro il corpo stesso della fiaba,
nel suo pericolo, attivamente impegnati a ricrearla con
l'immaginazione, seguendo la narrazione orale e l'andamento sonoro della
vicenda.
Per origine, storia e natura le fiabe si
prestano più di ogni altro genere letterario a rielaborazioni,
metamorfosi, riscritture attraverso i medium più diversi: dal teatro al
cinema, al fumetto, alla poesia, all'illustrazione, alla danza, alla
musica. Questa estrema duttilità è una grande risorsa dal punto di vista
educativo, poiché permette di proporre ai bambini una quantità di
varianti e di linguaggi che diventano ottimi strumenti di ri-narrazione e
indagine. Il linguaggio in cui si sceglie di raccontare una fiaba,
infatti, determina la forma stessa della narrazione portando, ogni
volta, a galla delle vicende aspetti che in altre versioni rimangono
impliciti, nascosti.
La fiaba di Pollicino di
Perrault ha numerosi punti di contatto con quella di Hänsel e Gretel dei
Grimm, in particolare nella parte iniziale che procede identica: la
decisione dei genitori di abbandonare i figli a causa della miseria,
l'abbandono nel bosco, lo stratagemma dei sassolini bianchi per
ritrovare la strada di casa, e poi quello, fallimentare delle briciole
mangiate dagli uccelli, che decreta lo smarrimento dei bambini e il
pericolo di essere mangiati nel primo caso dalla strega, nel secondo
dall'orco.
Se in Pollicino, infatti, sono le doti straordinarie del più piccolo dei fratelli e apparentemente incapace, a salvare gli altri, inetti, qui il lieto fine è sancito dalla collaborazione dei due bambini, ugualmente impegnati nel salvarsi reciprocamente la vita. Sottolinea questo significato anche Bruno Bettelheim che in Il mondo incantato dà una lettura di grande interesse di Hänsel e Gretel, in cui l'accento è posto sulla necessità dei bambini di affrontare il bosco per crescere, conquistare l'autonomia, liberandosi, attraverso il pericolo corso e superato, dalla tendenza regressiva a rifugiarsi nella casa e nel supporto dei genitori.
Se in Pollicino, infatti, sono le doti straordinarie del più piccolo dei fratelli e apparentemente incapace, a salvare gli altri, inetti, qui il lieto fine è sancito dalla collaborazione dei due bambini, ugualmente impegnati nel salvarsi reciprocamente la vita. Sottolinea questo significato anche Bruno Bettelheim che in Il mondo incantato dà una lettura di grande interesse di Hänsel e Gretel, in cui l'accento è posto sulla necessità dei bambini di affrontare il bosco per crescere, conquistare l'autonomia, liberandosi, attraverso il pericolo corso e superato, dalla tendenza regressiva a rifugiarsi nella casa e nel supporto dei genitori.
Fra il 1970 e il 1972, uno fra i più grandi
illustratori del Novecento, Maurice Sendak realizzò una serie di
illustrazioni per una selezione delle fiabe dei Grimm, edite poi nel
1973 da Farrar, Straus and Giroux con il titolo The JuniperTree.
Per avvicinarsi alle storie e al loro immaginario, Sendak fece un lungo
viaggio in Europa e in Germania, e un'accurata ricerca sugli stilemi
della pittura tedesca, in particolare su Dürer. Quando il libro uscì, ci
furono parecchie critiche riguardo al modo che aveva scelto per
rappresentarle. Piuttosto contrariato, l'autore spiegò che più che
“rappresentare” la storia, aveva voluto puntare al suo lato oscuro,
sotterraneo: a quello, cioè, che la storia non dice, o meglio, dice
nascostamente. Di queste fiabe gli interessava «cogliere il momento in
cui la tensione fra storia ed emozione è perfetta, così che il lettore
leggendo, possa sorprendersi, pensando che si tratta 'semplicemente' di
una favola.» Ai molti che giudicarono queste immagini claustrofobiche,
cupe, poche adatte ai bambini (che peraltro hanno sempre amato
follemente il lavoro di Sendak come dimostra la fortuna dei suoi libri
in tutto il mondo) affermò:
«Credo che i bambini intuiscano il significato profondo di ogni cosa. Sono solo gli adulti che per la maggior parte del tempo leggono la superficie. Sto generalizzando, naturalmente, ma le mie illustrazioni non sorprendono i bambini. Loro sanno cosa c’è in queste storie. Sanno che matrigna significa madre, e che il suffisso -igna è lì per evitare che gli adulti si spaventino. I bambini sanno che ci sono madri che abbandonano i loro bambini, emotivamente, non letteralmente. Talvolta vivono con questa realtà. Non mentono a se stessi. E vorrebbero sopravvivere, se questo accade. Il mio obiettivo è non mentire loro.»
Sendak aveva ragione, naturalmente.
Oggi sappiamo che l'ingresso della matrigna nella fiaba di Hänsel e Gretel, si dovette ai malumori del pubblico ottocentesco che nella madre della fiaba, attiva promotrice nell'abbandono dei figli, videro compromessa e infangata la figura materna, che invece si pretendeva intatta, nella sua tradizionale funzione di accudente angelo del focolare.
Per questo le parole di Sendak risultano tanto più veritiere, lucide.
Oggi sappiamo che l'ingresso della matrigna nella fiaba di Hänsel e Gretel, si dovette ai malumori del pubblico ottocentesco che nella madre della fiaba, attiva promotrice nell'abbandono dei figli, videro compromessa e infangata la figura materna, che invece si pretendeva intatta, nella sua tradizionale funzione di accudente angelo del focolare.
Per questo le parole di Sendak risultano tanto più veritiere, lucide.
Non mentire ai bambini significa anzitutto per gli adulti non mentire a se stessi, recuperare la possibilità di confrontarsi con la realtà, saperla leggere, incontrarla. Magari proprio a cominciare dalla finzione letteraria, dalle fiabe che come scrive Italo Calvino nella prefazione alla sua raccolta:"Le fiabe sono vere ...."
- Giugno, 2017