C'è stato, e c'è ancora per molti, un tempo in cui si doveva crescere, non per l'avanzare dell'età biologica, ma perché gli eventi, prepotentemente, interrompevano l'infanzia.
Nado, il protagonista di questo romanzo, credo ne sia un perfetto esempio. Non solo per aver perso sette dita a causa di un'accidentale esplosione, la cui mancanza paradossalmente non gli impedisce di svolgere una vita normale, quanto per il dover prendere delle scelte, senza avere gli strumenti per capire.
La vicenda è ambientata nella Valdichiana, tra Bettolle e Foiano, durante gli anni della Seconda guerra mondiale, più precisamente in quel momento cruciale che è l'Armistizio. Bettolle a quei tempi era un paesino tranquillo. Molti lavoravano alla Tempora, la fabbrica di mattoni. Chi conosce quella zona non farà fatica a figurarsi le caratteristiche casette rosse e i forni di tabacco sparsi per la campagna. I tedeschi si erano accampati con i loro mezzi vicino alla scuola, trasformandola in un deposito di armi. Nado, o meglio “Tre dita”, vive lì con la sua famiglia: la sorella minore Vilma, il padre Lorenzo, antifascista, ma di poche parole, con il suo piccolo laboratorio per fare saponette e la madre Agnese, che per racimolare qualche soldo fa la sarta itinerante in sella ad una bicicletta e che di parole invece ne spende parecchie per parlare con Dio.
“Mamma diceva che l'unico ad avere tutte le risposte è Dio, ne era proprio certissima.”
Ma come si possono passare le giornate quando le cose che uno può fare dipendono dalle dimensioni del luogo in cui vive?
Incontrarsi con gli amici e fare qualche bagno nel fiume Foenna, magari rubare fichi o giocare al Gran Premio spingendo semplici barattoli di latta con le ruote.
Ma i tedeschi sono una presenza ingombrante in paese e resta da capire da che parte stiano, chi siano i buoni e chi i cattivi.
E quando il suo migliore amico, “cresciuto” prima di lui, si immischia con i partigiani, Nado fatica a rendersi conto cosa sia la Resistenza e per dimostrare di voler contribuire e essere all'altezza, improvvisa un gioco di spionaggio dei tedeschi, come se fosse semplicemente uno dei tanti passatempi pomeridiani.
“Scusami” avevo sussurrato. “Per caso sai mica cosa vuol dire comunista”?
Avevo aspettato.
Avevo aspettato un bel po'. Non c'era stata nessuna risposta.
Ero uscito dalla camera da letto di mamma con ancora tutti i miei dubbi.
Dio poteva anche conoscere tutte le risposte. Ma forse non era disposto ad ascoltare tutte le domande, avevo pensato.
Ciò che colpisce immediatamente in Canuti è la sua prosa semplice e disarmante. La volontà di affrontare con sincerità certi argomenti, come la guerra, il razionamento, la morte, costringendoci a guardare in faccia le difficoltà della vita e allo stesso tempo a riscoprire la bellezza nelle semplici cose, come un bacio di mamma o mangiare una caramella quando è il cuore ad averne bisogno, assaporandone il gusto senza schiacciarla troppo presto.
Con una maestria incredibile, si inserisce perfettamente nel punto di vista dei personaggi.
Sorprendente è la sua capacità di immedesimarsi nella mente adolescente: pensare (o non pensare), agire e reagire come un ragazzino degli anni Venti, divertirsi, meravigliarsi. Il protagonista si rivolge spesso al lettore e attraverso le sue riflessioni, oltre a raccontarci avvenimenti storici, ci condivide i pensieri più intimi, che sono anche quelli che ci fanno sorridere o ci lasciano un senso di affetto profondo. Con tre dita si può ugualmente prendere per mano la mamma.
Nado è un personaggio meraviglioso, spontaneo. Con una forza incredibile, quella di chi, sebbene la diversità, vuole vivere la vita nel pieno dei suoi anni. Ma che è costretto a crescere a suon di dolori.
Vale davvero la pena di conoscere la sua storia e soprattutto di come sia riuscito a trasformare una mancanza in una ricchezza.
Perché tutto questo non c'era più? Perché non si poteva continuare a vivere in pace, italiani, tedeschi, comunisti e fascisti tutti insieme? Erano queste, secondo me, le domande a cui un Dio avrebbe dovuto rispondere.
Questo racconto prende spunto dalla storia vera di Nado Canuti, padre dello scrittore, che a soli dodici anni rimase con tre dita a causa di un residuo bellico, ma che grazie alla forte resistenza interiore è riuscito a diventare uno scultore. Non si tratta di una biografia, ma molti sono i riferimenti storici, tra cui l'incontro con Carlo Grazi, partigiano fucilato insieme ad altri compagni l'8 giugno 1944. E se volete approfondire la figura di questo artista non vi resta che guardare il documentario sulla sua vita.
Questo non è un libro per ragazzi, ma un piccolo tesoro che può essere adorato da chiunque abbia voglia di una bella storia.
Da non sottovalutare l'attenzione che, come sempre, Uovonero dedica all'editoria di qualità, sia nei contenuti, che nella forma grafica ad alta leggibilità.
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