In Francia porta i suoi libri nella metà delle scuole. Facendoli arrivare a chi non può permetterseli senza chiedere niente |
PARIGI. Parcheggia il furgoncino nel cortile della scuola, periferia grigia di Orléans. Il bidello gli stringe la mano con un sorriso complice, poi lo aiuta a scaricare alcuni cartoni pesanti. In meno di mezz'ora ha montato il suo banchetto nella piccola sala lettura. Sono le quattro del pomeriggio, suona la campanella.
I bambini scendono le scale di corsa, gridano: «I libri, i libri!»
Due ore più tardi si rimette al volante, l'aria soddisfatta. Oggi ha venduto 400 copie. «Non molto. Però, visto come erano felici?». La giornata di Vincent Safrat continua. Deve ancora consegnare alcuni cartoni ad un istituto elementare di un paese vicino, tornerà a casa in serata. E così domani, e tutta la settimana. Da 24 anni. Lo chiamano l'Editore dei poveri: stampa e distribuisce a scolari dai 3 ai 12 anni, soprattutto quelli nelle banlieues. Libri ad 80 centesimi l'uno. Lo scorso anno le vendite hanno sfiorato i due milioni e mezzo di esemplari.
Leggere è un po' partire.
Leggere è un po' partire.
Anche la storia di Vincent Safrat è cominciata con un libro e un viaggio.
«Avevo 19 anni, non volevo più studiare. Ho fatto qualche lavoretto per pagarmi un volo con un amico fino al Perù, a Lima. Per risparmiare siamo andati a piedi dall'aeroporto al centro. Abbiamo camminato per ore. Bidonville. Scoprire la miseria così, con gli occhi di quello che era venuto a fare il turista, mi ha segnato per sempre». Ha capito che doveva fare qualcosa. «Al ritorno, su di una mensola di casa ho trovato un volume impolverato: L'educazione sentimentale di Flaubert. Non so nemmeno perché: l'ho aperto. Letto d'un fiato: bellissimo. Poi un secondo, un terzo». Ed è arrivata l'idea. «L'unica idea in tutta la mia vita» ride.
«Avevo 19 anni, non volevo più studiare. Ho fatto qualche lavoretto per pagarmi un volo con un amico fino al Perù, a Lima. Per risparmiare siamo andati a piedi dall'aeroporto al centro. Abbiamo camminato per ore. Bidonville. Scoprire la miseria così, con gli occhi di quello che era venuto a fare il turista, mi ha segnato per sempre». Ha capito che doveva fare qualcosa. «Al ritorno, su di una mensola di casa ho trovato un volume impolverato: L'educazione sentimentale di Flaubert. Non so nemmeno perché: l'ho aperto. Letto d'un fiato: bellissimo. Poi un secondo, un terzo». Ed è arrivata l'idea. «L'unica idea in tutta la mia vita» ride.
«Aiutare le persone più deboli attraverso i libri. Dare loro la possibilità di immaginare un futuro. Il libro come forma di lotta, di emancipazione: dalla povertà, dal disagio, dalla diversità».
Figlio di un sarto e di una segretaria, famiglia modesta e dignitosa di Grigny (Essonne), a sud della capitale. «Percepivo il sussidio da disoccupato, mi bastava». Così comincia a bussare alle porte di tutte le case editrici di Francia. Chiede che gli regalino i pilon, le balle di libri invenduti destinati al macero. Comincia a proporli, porta a porta. Alto e magro, un'espressione candida che non ha perduto. Robin Hood bussa alla porta dei quartieri parigini più degradati. «Non è stato facile. Ma sono stato accolto con gentilezza. I poveri hanno un grande rispetto dei libri. E poi, io li regalavo». La missione dura anni, Vincent si muove in bici, a volte un amico gli presta l'auto. Nel 1992 fonda l'associazione Lire c'est partir: leggere è partire. Col passare del tempo si rende conto che i migliori lettori sono quelli più piccoli. «Di solito i genitori mi aprivano la porta scocciati, a muso duro. Quando vedevano i volumi – e ascoltavano la parola magica: gratis –, allora chiamavano i figli: "Prendi qua, ascolta il signore: non vorresti diventare una persona migliore?". Ma se proponevo ai grandi di leggere, niente da fare: "No. Per me è troppo tardi. Poi, sono molto occupato". E tornavano sul divano, alla televisione».
I bambini, allora. Frequentando le case editrici, Safrat scopre che pubblicare libretti costa relativamente poco: il segreto sta nella grande quantità, e nella distribuzione senza intermediari. È la svolta. «Sono andato da uno dei più grandi tipografi francesi, Brodard et Taupin, raccomandato da un suo cliente importante che mi aveva preso in simpatia: secondo me non hanno capito che ero senza un centesimo in tasca, così non mi hanno chiesto garanzie. Venti titoli e 400 mila esemplari da vendere entro 4 mesi, prima di finire nei guai». Affitta un furgoncino. Contatta centinaia di ispettori dell'Educazione nazionale – ognuno dei quali responsabile da 20 e 40 scuole – e poi associazioni di insegnanti, cooperative scolastiche, gruppi di genitori. Ci mette la faccia, l'entusiasmo. Il cuore. Quelli si convincono. «Ho pagato tutto. E solo con due settimane di ritardo».
La storia era appena cominciata. Diciotto anni più tardi, i furgoncini per le consegne sono diventati cinque. E tutti di proprietà dell'associazione, che oggi può contare su 13 dipendenti a 1.600 euro al mese. Qualcuno contatta le scuole – di oltre 50 mila istituti francesi, quasi la metà ha rapporti con Lire c'est partir – o lavora in ufficio. Vincent insieme ad altri tre preferisce andare in giro e continuare a vendere personalmente. «Ma ora lavoriamo anche grazie ad internet. È così semplice. La maestra di una prima elementare vuole che i suoi allievi leggano tutti lo stesso libro? Con 20 euro può avere 25 copie». Perché solo 80 centesimi? «Perché, a differenza di tutti gli altri editori, io credo che l'obiettivo sia la lettura. Non il guadagno». All'autore vanno 1.500 euro. Altrettanti all'illustratore. Poi ci sono le spese per la stampa – circa 30 centesimi ad esemplare, tiratura da 20 mila in su –, qualcosa per i diritti. «All'inizio il prezzo finale era di 4 franchi, e gli ispettori delle scuole mi domandavano: facciamo cinque? No. Facciamo quattro. Ora, con l'euro, prima il prezzo era 70. Poi 75. Adesso 80. E non aumenteremo più per molti anni, ci stiamo dentro benissimo».
Tutti gli anni all'inizio di settembre viene presentato il catalogo, con 30 nuovi titoli. «Un tempo dovevo cercare gli autori, adesso sono loro che ci inseguono». Circa 500, ogni anno: «Millecinquecento euro fanno comodo, ma spero sia anche la voglia di partecipare al progetto». A volte qualche nome importante regala la sua storia: Le Clézio lo aveva già fatto prima di prendere il Nobel (Il bambino sul ponte, è il titolo del racconto). Un tempo anche Françoise Sagan. E Alexandre Jardin, lo scrittore e sceneggiatore. Che racconta il suo personale innamoramento per l'Editore dei Poveri. «Mi ha chiesto di collaborare, ho detto di sì. Poi un giorno è venuto a trovarmi, l'aria disperata. Disastro. Ha scoperto che con la casa editrice si facevano dei guadagni! Non avevo mai visto un tipo così appassionato e disinteressato ai soldi». Con l'attivo di bilancio hanno organizzato spettacoli teatrali e dei fine settimana verdi per i bambini. E poi ha comprato un vecchio castello su un'isola dell'Essone. «Lui si è preso due stanze, dove vive. Il resto è a disposizione di associazioni di volontariato». Un personaggio inverosimile, dice Jardin. «Fa il lavoro del Ministero della Cultura senza chiedere nulla, con una capacità di andare oltre l'ostacolo ragionando in maniera diversa».
L'Editore dei poveri. Che nessuno vuole emulare. «Ogni tanto c'è mi chiede come ho fatto, però poi non ci sta a lavorare in cambio di nulla. Perché questo è il segreto: bisogna andare avanti per anni, costruirsi una rete di amicizie e di fiducia, senza aspettarsi nulla. Per il solo piacere di vedere un bimbo che prende il suo libriccino e corre a leggerselo. Guardate che i bambini hanno voglia di leggere, di sognare. Di sfogliare pagine, guardare le figure». Però il tablet... «Possono fare entrambe le cose, o no? Se oggi mi dicessero di trasferire tutti i testi su di un tablet, gratuitamente, non aspetterei un minuto». Lo guardi negli occhi, e capisci che è sincero. «Ho cominciato nel Nord, e in Lorena. Nelle periferie delle grandi città: Parigi, Lione, Marsiglia. Poi ho scoperto che la povertà è soprattutto nelle campagne. Ma possiamo fare molto».
Chissà se funzionerebbe, in Italia.
«Ma sicuro! Il punto è che non bisogna pensare ai soldi, ma ad un altro guadagno, molto più prezioso: la speranza».
Fonte: da Massimo Calandri
Le Soir, giugno 2017